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Un parco divino - L‘intepretazione ambientale fa scorgere fra le fronde e le onde del Parco Nazionale del Circeo personaggi mitici e dei

Ruderi, chiese, resti archeologici, antichi manufatti architettonici, affreschi e monumenti forniscono testimonianze mute, ma non certo meno eloquenti, della vita quotidiana e dei grandi eventi del passato, e ci permettono di comprenderli e di interpretarli, spesso perfino con maggiore efficacia rispetto a fonti storiche tradizionali. Questo può verificarsi anche in un contesto naturale, quando la semplice contemplazione di un luogo o la rilevazione scientifica dei fatti e fenomeni naturali si incontrano con  la partecipazione e il coinvolgimento dell’osservatore. Si origina così una corrente di empatia, quasi di immedesimazione che, insieme ad una conoscenza e ad una comprensione più completa ed approfondita, solo l’interpretazione ambientale può valorizzare e far emergere appieno. Attingendo ad un patrimonio di conoscenza e di condivisione culturale, l’interpretazione ambientale, infatti, arricchisce di significati il rapporto uomo natura permettendo la creazione di legami e connessioni con gli aspetti naturalistici e culturali in senso più ampio e completo. 

Questo scambio attivo si realizzava spontaneamente nelle antiche civiltà classiche, se da un lato la natura veniva percepita come misteriosa o ostile e rispecchiava anche ansie e timori umani, dall’altro li associava, attraverso la costante presenza delle divinità. I miti, soprattutto quelli che implicavano la trasformazione di un mortale in una pianta o un animale, esprimono, in questo contesto, il desiderio di comprendere le manifestazioni di una natura ancora poco conosciuta, riconoscendovi una corrispondenza emotiva con le proprie esperienze e aspirazioni, Il ciclo di rinnovamento naturale, che vedeva alternarsi continuamente nascita, crescita e morte rappresentava, infatti, un confortante esempio della sola immortalità possibile su questa terra.

Per rendere più amico il cielo, così lontano eppure così presente nello scandire i ritmi quotidiani della vita di agricoltori e marinai, gli uomini cercavano di riconoscere, nel disegno delle stelle, oggetti e presenze note: un carro, un granchio, dei pesci, una corona. Anche l’aspetto selvatico delle foreste era addolcito e mitigato dalla presenza di creature semidivine spesso femminili. C’erano ninfe dappertutto: Naiadi nelle acque correnti e nelle sorgenti, Driadi e fra le onde del mare, Amadriadi nei cespugli e negli alberi, Nereidi fra le onde del mare, mentre i fauni dal corpo di capra suonavano i loro flauti di canna.

Anche il vento non era semplicemente una corrente d’aria, ma, sempre diverso a seconda della direzione, si umanizzava cambiando nome e presentandosi di volta in volta, come uno dei numerosi figli del dio Eolo. Il loro aspetto fisico, tramandato attraverso affreschi e dipinti (basti pensare allo zefiro raffigurato nella Primavera di Botticelli) era accompagnato da un “carattere” sempre diverso. Il freddo vento del Nord, Borea, ad esempio, era definito “il violento”, appellativo confermato dal comportamento che il mito gli attribuisce nei confronti di ninfe riluttanti.  

Un vento divino soffiava, secondo i Greci, anche intorno ad alcuni esemplari di alberi secolari, come la grande quercia di Dodone il cui stormire veniva interpretato da una sacerdotessa, che traduceva il fruscio delle foglie in vaticini che esprimevano il volere di Zeus. 

Alcuni luoghi suggestivi e poetici erano, inoltre, animati da un genius loci come, ad esempio, la fresca sorgente abitata dalla ninfa Egeria, che il secondo re di Roma, Numa Pompilio, consultava per averne il prezioso sostegno. 

La suggestione di alcuni luoghi e il desiderio di ottenere risposta dalla divinità che ospitavano, era talmente forte e radicata nella cultura greca e latina, che nemmeno l’avvento del cristianesimo riuscì a “spopolare” la natura da tutte le creature semidivine e divine della tradizione classica.

Al contrario, fu la religione cristiana a doversi arrendere, limitandosi semplicemente a sostituire i miti pagani con le “sue” leggende, e i suoi eventi miracolosi: bastoni che, piantati in terra, mettevano foglie e fiori; piante che potevano vantarsi di aver protettolo riposo della Madonna e del divino Bambino durante la loro fuga dall’Egitto; alberi “puniti” per aver offerto il loro legno per costruire la Croce. 

L’interpretazione ambientale parte da questo mondo di conoscenze, credenze, convinzioni, e vi aggiunge esperienze dirette e stimoli alla scoperta per far si che una semplice passeggiata nel bosco o sulla spiaggia, riesca a mettere in contatto la nostra sfera conoscitiva e sensoriale con quella emotiva e sperimentale, rendendo ancora più viva e attuale le antiche presenze. Una cosa è certa: come afferma Sallustio a proposito dei miti queste cose non furono mai ma sono sempre. Camminare in un bosco significa quindi, attraversare antiche storie.

Imprigionata nella corteccia dell’alloro (come è descritta nella scultura di Canova) Dafne ci racconta della sua ribellione alla persecuzione amorosa di Apollo; le fragili corolle dell’anemone, spogliate dal ruvido tocco del vento autunno, ricordano la storia della bella ninfa Anemone contesa fra il freddo Borea e il primaverile Zefiro; il verso notturno della civetta ci rimanda alla dea Atena, dall’occhio scintillante alla quale è devota; anche le cicale, se le ascoltiamo con il giusto atteggiamento, ci rammentano che sono care alle Muse e ad Apollo e rappresentano il modello del filosofo, che non si cura del cibo né di altri aspetti materiali.

La natura, come afferma Calasso, non è muta ma ammutolita. Basta, infatti, il precario incanto della parola per rianimare quelle querce, qui mirti, quegli allori, quelle civette e quelle cicale.


Silvana Nesi Sirgiovanni Istituto Pangea onlus 

Silvana Nesi Sirgiovanni - 5/12/2020